Mario Barbuto
In questa giornata è utile compiere una riflessione sul lavoro svolto e una proiezione sul possibile futuro, sfuggendo alla tentazione di limitarsi a una mera celebrazione dei venticinque anni di ASPHI.
Quando si spengono "le candeline" si corre il rischio di piegarsi alla nostalgia del passato, e vedere dinanzi a sé un futuro di invecchiamento, sebbene sia o sembri un po' strano fare questo discorso parlando a nome dell'istituto Cavazza che di anni ne ha ormai centoventicinque.
Le premesse di questa giornata, invece, paiono sfuggire a tentazioni di natura autocelebrativa e poco produttiva. mirando piuttosto a interrogarsi sulle prospettive che ci attendono, sia pure con un pensiero attento a ciò che è stato fino a oggi, alla storia che ha corroborato e costellato di successi i vari momenti della vita di questa associazione. Sono davvero interessanti, anche se un po' troppo compresse, per motivi di tempo, le testimonianze dei protagonisti, quelle ascoltate fino a ora.
Le testimonianze, infatti, sono la parte più viva nel ripercorrere questi venticinque anni di lavoro: a proposito, sarebbe forse una buona idea che esse fossero raccolte, numerose e allargate alla partecipazione di molti, per diventare qualcosa diconcreto, una specie di "nostra memoria storica", condensata in una pubblicazione che ne mantenga vivo il ricordo, perché da esse c'è molto da imparare su ciò che è stato e forse ricavare qualche indicazione su ciò che potrebbe essere nel futuro prossimo.
Credo che l'istituto Cavazza, pur nella tempesta della fine degli anni 70, sulla quale non vale la pena e non vi è comunque il tempo di soffermarsi, abbia avuto un "piccolo" merito, nel favorire la sperimentazione di una prospettiva professionale e lavorativa nuova, soprattutto considerato che tale intervento nel settore della formazione professionale non rientrava direttamente negli obiettivi della "missione" istituzionale, , da sempre, orientata a promuovere e realizzare l'istruzione, l'educazione e la formazione intellettuale delle persone non vedenti.
Questa incursione da parte del Cavazza nel settore della formazione professionale si è incontrata ottimamente con tante volontà e passioni individuali, tra le quali vorrei menzionare l'opera di Giovanni Zanichelli, il quale, soprattutto all'inizio, è riuscito, quasi da solo, quasi dal nulla, a mettere in movimento tutta questa macchina, magari con luci, con ombre, con tutto quel che comporta una impresa di questo genere.
Il secondo elemento di spunto, ricordiamolo per "dare a Cesare quel che è di Cesare", , veniva dal primo tentativo di corso per programmatori non vedenti, che in realtà si è svolto a Firenze, credo in una sede che adesso ospita un istituto del CNR e che allora era promosso dalla struttura professionale ECAP C.G.I.L. Un tentativo poco più che velleitario, con strumentazione inesistente, un certo scetticismo anche da parte dei partecipanti, ma che pure ha sortito qualcosa di significativo: come ricordava bene, nel filmato appena proiettato, Giovanni Zanichelli. Ha sortito la formazione di base, per quanto poi consolidata con altre fasi formative, tuttavia la formazione di base di Pierino Bianco e Marina Vriz, i primi due programmatori non vedenti Italiani assunti dalla IBM, si è compiuta in quella sede.
Da questo primo tentativo è nata l'idea del primo corso programmatori, certo, con quel tanto di improvvisazione che può esserci nell'organizzare qualcosa di totalmente nuovo in un mondo totalmente estraneo e comunque in forza di un incontro di due mondi che erano lontanissimi tra di loro: lontanissimi. Basti pensare che l'istituto Cavazza accoglieva persone non vedenti da tutta Italia, ragazzi, per la frequenza delle scuole superiori e dell'università, si sosteneva, attraverso la erogazione di contribuzioni da parte delle amministrazioni provinciali di provenienza di questi ragazzi e attraverso l'utilizzazione di un proprio patrimonio, nel quale addirittura allora, in via diretta, venivano gestite le stalle, gli animali e la terra da coltivare. Questo era il quadro e con questo mondo si incontrava un mondo aziendale, fatto di misurazioni, di efficienze, di valutazioni attitudinali delle capacità. Un incontro non sempre facile, perché tra due mondi, quando ci si incontra, tutto è difficile: si ricordi che l'incontro tra il mondo europeo e gli indiani d'america ha causato l'annientamento di una delle due civiltà.
Questo nostro incontro di "culture", dicevo, non è stato sempre facile, anzi... Però si è sempre lavorato con l'obiettivo di andare avanti, fin dall'esperienza del primo corso, che ha avuto, credo, vado a memoria, una settantina di aspiranti partecipanti, con delle selezioni, che già suonavano strane per questo mondo dei non vedenti, sebbene essi si siano mitemente assoggettate alla regola inconsueta, con selezioni che si sono svolte addirittura in varie città italiane, non solo in Bologna, proprio per l'elevato numero di richiedenti, per arrivare a quel che è accaduto negli ultimi corsi, metà fine anni ‘90, quando c'erano poche unitàà che faticosamente raggiungevano le due cifre di aspiranti.
Anche questo è un elemento di riflessione, sul quale qui si potrebbe parlare a lungo,
un elemento di valutazione che deve farci meditare sui meriti, sugli aspetti positivi di questo incontro tra i due mondi del quale dicevo prima.
L'avere tentato, con l'aiuto trainante dell'ASPHI, di aprire una nuova professione, per quanto essa, nel tempo, si è purtroppo affievolita come prospettiva, non tanto ovviamente per ragioni legate alle volontà degli organizzatori, ASPHI e istituto Cavazza, quanto perché il mondo cambia troppo vorticosamente, soprattutto il mondo del lavoro.
Proprio nel mondo del lavoro, infatti, si sente troppo spesso parlare molto di flessibilità, di elasticità, di contratti a progetto, come si chiamano adesso, una volta detti "collaborazioni coordinate e continuative". Io credo che sia molto difficile che un programmatore cieco possa essere assunto, possa essere comunque arruolato attraverso un contratto di collaborazione coordinata e continuativa o un contratto a progetto. Tuttavia questi venti anni hanno segnato qualcosa di importante, perché è maturata una sensibilizzazione, sicuramente favorita dall'attività di ASPHI, presso le pubbliche autorità, presso le istituzioni economiche, presso le aziende, gli imprenditori e i dirigenti. Sensibilizzazione e interesse che sono andati anche oltre: all'estero, per esempio, grazie a due importanti iniziative per ricreare questa opportunità professionale per i ciechi di paesi come la Russia – ancora Unione Sovietica - e la Grecia, dove sono state investite risorse umane, competenze, impegno e tempo, per organizzare corsi con l'ambizione di trasformarli, nel tempo, in vere e proprie scuole per programmatori.
Come dicevo, l'incontro tra i due mondi non è stato sempre facilissimo. Ricordo da un lato, il modo diverso di operare, di agire, di intendere i propri compiti, questo è del tutto normale, guai se non fosse così; però soprattutto nei primissimi anni, quello che mi stupiva era una lieve, come dire, resistenza alla tecnologia specifica da parte dell'ASPHI. E questo era un po' strano, perché noi abbiamo accolto prima IBM e Giovanni Zanichelli in particolare poi ASPHI con la sua organizzazione un po' più consistente e strutturata, anche perché, oltre alla formazione e al lavoro, portavano l'innovazione tecnologica. Parlarne venticinque anni fa sembrava assurdo, adesso tutti usano questa parola "innovazione".
Come ricordava nell'intervento precedente Fernando Torrente, la formazione incentrata, fondamentalmente sull'uso di uno strumento tecnico come l'optacon, tra l'altro anche già piuttosto obsoleto, si rivelava faticosa, forse inutilmente più complicata, insomma, un po' di retroguardia. Eppure, nonostante questa fatica, le nostre sollecitazioni a introdurre elementi tecnologicamente innovativi e disponibili, sebbene ancora in fase iniziale di sviluppo, sintesi vocali, documentazione Braille, display e stampanti braille, incontravano una certaresistenza, soprattutto quando si propugnava un uso maggiore del Braille.
Lentamente, le cose sono migliorate e oggi, basterebbe fare un giretto per i padiglioni di Handimatica, per trovare Braille a tonnellate:, forse anche troppo...
Noi vedevamo nell'ASPHI e in questa esperienza di formazione anche un elemento di stimolo per la promozione dell'informatica diffusa, cioè di quel fenomeno d'uso dei dispositivi non tanto come programmatori ma proprio come veri utenti di questa nuova tecnologia.
Tale promozione, secondo noi, non è stata abastanza intensa, almeno fino a quando non è stata promossa e incoraggiata più massicciamente da altre organizzazioni, associazioni e da privati imprenditori.
A ben riflettere, infatti, proprio l'informatica diffusa ha finito per rappresentare il vero elemento rivoluzionario di questi ultimi venti anni anche per i ciechi, determinando le ricadute maggiormente significative su migliaia e migliaia di persone, non tanto per la nuova collocazione professionale, che ha coinvolto meno di duecentoprogrammatori non vedenti.
Oggi tra i ciechi ci sono molte persone che utilizzano strumenti informatici in situazioni di vita, di studio, di lavoro, di svago, in modo del tutto diverso da quel che noi potevamo immaginare all'inizio degli anni '80, quando nacque questa esperienza. Il dato è assolutamente positivo.
Vero che le applicazioni informatiche si sono diffuse per tutti, però, siccome per i ciechi è più difficile utilizzare le tecnologie tanto che sta diventando complicato anche servirsi di una radio, o di un telefono, è diventato complicato, perché il mondo, è complicato e non ha voglia di prestare ascolto a migliaia, centinaia di migliaia, forse milioni di persone che vivono con dei problemi pur degni di diventare oggetto delle attenzioni di chi produce, di chi distribuisce, di chi autorizza, di chi comanda.
Immaginare il futuro, dunque, per concludere... E' un esercizio difficilissimo. Ho cercato di dire cosa immaginavamo negli anni '80 e quanto in realtà è successo: qualcosa di totalmente diverso da quello che avevamo immaginato. quindi mettersi a immaginare è un esercizio da scrittori, da poeti, da sognatori, forse... E tuttavia, qualche ipotesi bisogna pure tentare di farla, altrimenti...
Io credo che, nell'immaginare il futuro, dobbiamo stare attenti a una cosa: sfuggire all'illusione di uno sviluppo tecnologico inesauribile e favorevole per tutti. Del resto, avete visto come si sia sgonfiata miseramente la bolla tecnologica speculativa delle borse internazionali? Che era poi solo il clou di una esplosione iperbolica che è durata 15-20 anni: dal personal computer al telefonino, ai satellitari e a tutto quello che è venuto dopo.
La tecnologia ha fatto dei passi così giganteschi che oggi ci vengono forniti degli strumenti dei quali noi usiamo se va bene il 10% delle capacità, delle potenzialità, delle risorse, etc., spesso perché queste risorse si riducono a banalità, via, sono state fatte per stupirci con gli effetti speciali e poi perché sovente a esse non si accompagna una corretta alfabetizzazione delle persone alle quali sono destinate.
Allora la riflessione che io rilancio nel provare a immaginare il futuro, soprattutto la rilancio ai miei amici dell'ASPHI, consiste in questa raccomandazione: stiamo attenti a non dare alla tecnologia, al tecnicismo, un peso, un ruolo superiore a quello che è in grado di esercitare in una società, la quale, per quanto effimera come la nostra. dovrebbe pur sempre conservare al centro l'essere umano.
Proviamo, dunque, a rimettere l'essere umano al centro della dinamica sociale e della nostra attenzione: quell'essere umano fatto di problemi, di paure, di difficoltà, di timidezze, di aspirazioni, di desideri, di pulsioni sentimentali, sessuali, intellettuali. Se noi crediamo che basti mettergli in mano uno strumento che fa bip, cip e cuc, per illuderci di risolvere un problema, di abbattere una barriera nella scuola, nel lavoro, etc., io credo che seguiremo una strada sbagliata. Penso, ad esempio, alla tematica della scuola: mettiamo pure in mano a studenti con disabilità e a insegnanti di sostegno le tecnologie più evolute e sofisticate. A parte l'assoluta inadeguatezza generale di attrezzature e di alfabetizzazione informatica che impera nella scuola italiana, almeno nella media inferiore, pensando alle persone con disabilità, siamo proprio sicuri che basti al mettere a disposizione il software didattico, il computer, l'accessorio d'avanguardia, se non c'è la preparazione umana, quella che nasce dalla disponibilità, ancor prima della competenza? E' proprio lì che la tecnologia diventa effimera.
E noi sappiamo bene quanti strumenti tecnologici, in tante situazioni, rimangono lettera morta, ferraglia inutilizzata, funzionali soltanto ad accrescere il prestigio o il finto prestigio di una istituzione o di qualcuno in cerca di applausi; utili solo a fare statistica.
Quando infatti, intorno alla diffusione della tecnologia non c'è la competenza professionale e tecnica per un impiego appropriato, ma soprattutto non c'è un progetto che metta al centro dell'attenzione gli esseri umani e guardate che gli esseri umani sono molto complicati, difficili e difficilmente riconducibili e ricomprensibili in un progetto meramente tecnologico, la società allora rischia davvero il fallimento.
Vi ringrazio.