Fernando Torrente

Buongiorno a tutti,

io sono stato chiamato ad intervenire per dare la mia testimonianza raccontando, brevemente, la mia esperienza lavorativa nel settore dell’informatica e la mia esperienza in relazione alla tecnologia in generale.

Quando mi ha telefonato Gigi Rossi, chiedendomi se ero disponibile a fare un intervento nel quale spiegare un pochettino che importanza hanno avuto per me le nuove tecnologie, i grandi elaboratori prima e il pc poi, ha aggiunto che, ormai, sono passati quasi 25 anni dal primo corso per programmatori elettronici ciechi tenuto qui a Bologna e di conseguenza dall’inizio della mia esperienza come programmatore.

Questa sua frase mi ha immediatamente fatto pensare che un’esperienza così lunga è difficile che possa avere avuto una piccola importanza, se sono 25 anni che a livelli diversi lavoro nell’ambito dell’informatica, e così ho accettato volentieri di intervenire oggi.

Io faccio parte di quelli che hanno frequentato il primo corso di programmazione nel 79/80, era un corso di Cobol e di programmazione su grandi elaboratori, allora il PC era ancora agli albori.

Quello era un periodo nel quale molti di noi si interrogavano sulla necessità di trovare nuovi sbocchi lavorativi che andassero oltre alle attività tradizionalmente svolte dai ciechi, dato che queste ultime sembravano non essere in grado di soddisfare la richiesta di lavoro dei ciechi.

Così io e molti altri ci iscrivemmo a questo corso con un certo entusiasmo dovuto alla novità e all’interesse che l’informatica suscitava in molti di noi.

Fatto il corso grazie, soprattutto, alla volontà e all’impegno dell’ingegner Zanichelli abbiamo immediatamente trovato lavoro e così si è effettivamente aperto un nuovo sbocco lavorativo per i non vedenti.

L’interesse verso questa nuova professione e l’entusiasmo per questa avventura all’inizio ci hanno certamente aiutato a superare le difficoltà rappresentate dalle tecnologie a nostra disposizione. Infatti, allora la strumentazione a nostra disposizione era quella che era; il primo strumento che noi usammo per lavorare fu l’optacon. Uno strumento che sicuramente si dimostrò efficiente e che ci permise di lavorare in modo efficace, ma vi posso assicurare che era veramente uno strumento molto faticoso da utilizzare, almeno per il sottoscritto.

Questa voglia di cimentarci con un campo così nuovo per i ciechi e, direi, considerato all’avanguardia un po’ da tutti, almeno qui in Italia, ci ha aiutato anche a superare quei piccoli problemi che si sono presentati all’inizio sul posto di lavoro. Ad ogni modo l'impatto col il mondo del lavoro è stato molto positivo e il rapporto con i colleghi sicuramente buono. Posso dire, a tale proposito, che io ed un mio amico, assunti insieme come programmatori presso il centro elettronico della CaRisBo, siamo stati immediatamente inseriti all’interno della struttura del nostro ufficio. Inoltre non abbiamo trovato nessuna difficoltà dal punto di vista tecnico e nessuna preclusione da parte dei colleghi o dei dirigenti. Anzi l’ambiente si rivelò accogliente e valorizzò la nostra professionalità. Infatti, dal punto di vista tecnico fummo messi in condizioni di poter lavorare come tutti gli altri e di fare tutti i corsi di aggiornamento tecnico che gli altri facevano; anzi spesso noi siamo stati fra i primi a frequentarli e a riportare in azienda le conoscenze apprese. Quindi da questo punto di vista le cose sono andate veramente molto bene, ora non credo che qui oggi sia il caso di descrivere i corsi, linguaggi, sistemi operativi etc. frequentati, ma ciò che mi preme rimanga è il fatto che noi siamo sempre stati allo stesso livello di tutti gli altri e che, credo di poter dire, abbiamo anche svolto bene il nostro lavoro ricoprendo il ruolo che alla nostra figura professionale era richiesto.

Io, poi ho avuto un’esperienza particolare, un percorso che mi ha portato a fare il programmatore presso un ufficio esterno al centro elettronico e cioè presso l’ispettorato. Infatti, nella struttura aziendale c’era la necessità che l’ispettorato avesse un suo programmatore staccato da quella che era la vita/funzionamento del centro elettronico.

Anche questa esperienza per me ha avuto molti lati positivi insieme ad uno negativo. Infatti se da un lato il mio aggiornamento tecnico è diventato meno importante con tutto ciò che questo comporta, dall’altro mi ha permesso di avere una visione molto più ampia della banca, del suo funzionamento e delle diverse procedure informatiche che per il mio lavoro dovevo conoscere.

Ora se da un lato abbiamo questa positività dell’esperienza, debbo anche dire che, dall’altro lato, negli ultimi tempi il lavoro ha avuto un’evoluzione piuttosto negativa e che ci obbliga ad una riflessione approfondita per il futuro.

Da qualche anno a questa parte da un lato, la programmazione è progressivamente uscita dalle grandi aziende per spostarsi nell’ambito delle software house dove viene richiesta ai dipendenti molta flessibilità soprattutto nell’ambito della disponibilità a viaggiare da una città all’altra, da un centro ad un altro con gli evidenti problemi che ciò comporta per chi non vede e, dall’altro lato, dobbiamo tener presente anche che i posti di lavoro in ambienti come quelli nei quali siamo stati inseriti noi, sono diminuiti radicalmente. Per avere un esempio di quest’ultimo aspetto basta pensare alla realtà di Bologna, mentre prima c'erano diversi centri elettronici importanti, penso al ROLO, alla CARISBO, al comune e così via, oggi questi centri non esistono più o sono diventati residuali rispetto alle realtà delle quali sono entrati a far parte e quindi non assumono più.

Dico questo perché oggi secondo me siamo – e questo è un elemento di riflessione che voglio dare – ad un bivio, nel senso che occorre cominciare a riflettere seriamente a che cosa di nuovo si può fare, quali nuovi sbocchi lavorativi si possono aprire e questo va fatto partendo da quell’entusiasmo e quella voglia di sfida che allora ha contraddistinto molti di quelli che hanno seguito questa strada: allievi, insegnanti, organizzatori etc.

Secondo me questa professione che per 18, 20 anni ha avuto prospettive e che ha creato alcune centinaia di posti di lavoro, mi sembra, dal mio piccolo osservatorio, che oggi mostri la corda.

Ora passo brevemente all’altro aspetto sul quale mi è stato chiesto di dare la mia testimonianza e cioè sull’importanza che le nuove tecnologie hanno rappresentato nella vita diciamo extralavorativa.

È evidente che qui il discorso si sposta essenzialmente sul p.c. e su come ha, possiamo dire senza troppa enfasi, rivoluzionato molte nostre attività.

Qui è molto semplice per tutti farsi un’idea di che cosa abbia significato l’introduzione di queste nuove tecnologie dato che questo rivoluzionamento non ha riguardato solo i non vedenti, ma tutti in generale e non solo la vita lavorativa, ma anche quella privata e relazionale.

Per comprendere questo basta pensare a come erano organizzati gli uffici negli anni .80 e come si lavorava e come sono organizzati e si lavora adesso.

Basta pensare ad un piccolo aspetto della vita privata, negli anni .80: allora si scrivevano molte lettere, oggi la comunicazione avviene via e-mail, on-line con le chat etc.

E questo è un aspetto non secondario che permette anche a chi non vede di aumentare le proprie possibilità di comunicare con gli altri, di partecipare a discussioni, forum e così via.

Oggi anche per noi ciechi grazie alle nuove tecnologie, ai display braille e alle sintesi vocali, agli screen reader che rendono più veloce e più riposante l'uso del computer, l’accesso all’informazione e alla comunicazione è diventato più semplice e più ricco.

Inoltre, grazie agli scanners e ai programmi o.c.r. oggi per noi è diventato molto più semplice poter accedere ai libri e, quello che per tanto tempo è stato un sogno, andare in libreria, comprarsi un libro e poterlo leggere in autonomia, si è realizzato. Ma anche qui le ombre non mancano, infatti c’è tutta la questione del copyright, delle case editrici che si ostinano a non mettere a disposizione dei ciechi i testi in formato elettronico che rende più lento e difficoltoso questo traguardo.

Ora è evidente che tutto questo per me è stato un grosso cambiamento, perché la possibilità di procurarsi un libro e di poter leggere quello che più o meno ti pare, poter accedere ad alcuni quotidiani, poter navigare in rete, poter comunicare più rapidamente con gli altri, non rappresenti un traguardo da poco, ma che sia qualcosa che veramente ha cambiato una parte considerevole della mia vita. Ma penso che non sia necessario dilungarmi molto su questo punto dato che credo che questo grande cambiamento a cui faccio riferimento sia in parte lo stesso cambiamento che tutti abbiamo vissuto, vedenti e non, e quindi facilmente comprensibile.

Anche su questo punto, però, mi preme dare un elemento di riflessione e non soltanto fermarmi al racconto della mia esperienza, perché, anche qui, ci sono luci ed ombre. Le luci sono quelle alle quali, sebbene in modo schematico, ho accennato prima; le ombre sono rappresentate dall’affannoso inseguire a cui siamo costretti. Capita, infatti, che quando credi di aver raggiunto l’obiettivo, improvvisamente ecco che arriva un nuovo software, un nuovo modo di organizzare le informazioni, un nuovo sistema operativo ed ecco che ti trovi di colpo tagliato fuori da una parte dei nuovi prodotti immessi sul mercato, un esempio per tutti le opere multimediali. Quando ciò accade, indubbiamente, non è che ti ritrovi al punto di partenza, ma certamente le difficoltà aumentano e in parte ti trovi tagliato fuori e rigettato ai margini.

Dico questo perché, secondo me, questa realtà richiede un grande impegno e la necessità di sperimentare e restare sempre all’avanguardia da parte delle organizzazioni che operano in questo settore.

Io non so bene a questo punto dove sia l'ASPHI ovviamente, perché sono anni che non seguo e che non ho particolari rapporti con questa organizzazione, però ho l'impressione che talvolta sulla sperimentazione si lavori poco, mentre questo a mio avviso è il terreno fondamentale per affrontare le sfide del futuro.

Un altro terreno nel quale bisognerebbe fare molto di più, e qui torno a concetti espressi nella prima parte di questo mio intervento, è l’impegno a cercare e sperimentare nuovi sbocchi lavorativi.

Qui bisognerebbe ritrovare il coraggio che ebbero Zanichelli e l'istituto Cavazza, che organizzarono quel primo corso del 1980 e quelli successivi. Il coraggio che ebbe Zanichelli che si spese in prima persona garantendo presso i datori di lavoro per gli allievi, la loro efficienza e la loro preparazione.

Oggi, probabilmente occorre rinunciare all'idea di trovare nuovi sbocchi di lavoro, tra virgolette, di massa. Ma occorre pensare più a percorsi molto più individualizzati, perché, a me sembra, che il vecchio modo di affrontare il problema cercando di trovare sbocchi lavorativi per tanti non sia più adeguato rispetto alla nuova organizzazione del lavoro del nostro paese. Quindi, da un lato sicuramente si può parlare della necessità di dare delle competenze generali utili a tutti, ma dall’altro lato, queste competenze, in un secondo tempo, vanno arricchite con un percorso individualizzato e finalizzato all’inserimento lavorativo.

Tutto questo ci deve far riflettere anche sull’impatto delle nuove tecnologie e della loro diffusione, perché, se da un lato esse hanno aumentato, come ho cercato brevemente di testimoniare prima, le potenzialità di accesso alla cultura e all’informazione dei ciechi, dall’altro lato stentano a tradursi in posti di lavoro nuovi. Le nuove tecnologie oggi permettono un migliore accesso agli studi, aprono facoltà universitarie nuove ai ciechi, ma raramente tutto ciò si traduce in nuovi posti di lavoro qualificati e così vediamo molti laureati ciechi che vanno a fare i centralinisti.

Concludo dicendo che questo è un argomento che mi preme sottolineare nella speranza che questo problema venga posto al centro della riflessione e dell’impegno futuro di tutte le organizzazioni che hanno in qualche modo a che fare con i ciechi.

Grazie